Un'altra
novità della nostra Comunità è la proposta di partecipare al "GRUPPO
FAMIGLIA". Le
coppie sono invitate mensilmente a incontrarsi per riflettere su un tema
preparato da una coppia.
- la nostra comunità ecclesiale, che necessita di riscoprire la via sapiente dell'amicizia e dei rapporti interpersonali cordiali e sinceri. Dobbiamo, e ne siamo capaci certamente, STARE ACCANTO a chi è rimasto solo affinché trovi la forza di reagire. Nessuna separazione è insanabile. Occorre lottare per rimettere insieme i 'cocci' frantumati, riattaccandoli con la colla della solidarietà e della vicinanza evangelica. Dobbiamo riscoprirci una comunità CALDA: nelle relazioni, nei rapporti, nella solidarietà, nel sostegno a tempi brevi e medi. In forza di quanto il vangelo ci dice- "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse acceso...". E' forse l'unico caso in cui siamo invitati ad essere incendiari più che pompieri. Coraggio. "Io non vi lascio soli', ci garantisce Gesù.
la commissione parrocchiale per la FAMIGLIA
LA CARITA’ CONIUGALE
Scrivere
di carità, e in special modo di carità coniugale, è un compito assai
difficile e problematico.
Il
termine carità è venuto nel tempo acquisendo una connotazione di beneficenza,
di concedere qualcosa a qualcuno. Il beneficiario in questo modo si trova su un
piano totalmente diverso da chi fa beneficenza, quasi legato a doppio filo con
colui che lo ha sollevato dall’indigenza.
Quanto
detto porta a considerare la carità come un concetto astratto che non tocca la
propria esistenza: più che un vivere risulta più un fare. A mio parere,
invece, ci troviamo dinanzi ad una realtà, un'esperienza, una virtù, un
vissuto, un mistero.
Come
afferma G. Sovernigo:
"Vivere
la carità costituisce la vocazione di ogni cristiano. Risponde anche all’aspirazione
di fondo del cuore umano: amare ed essere amato. E questo non solo con le
semplici forze umane, ma con la stessa forza di Dio…Tuttavia, il dono della
carità, come ogni altro dono di Dio, non lascia inerte la persona, non la rende
passiva o consumatrice. La coinvolge in prima persona nella sua libertà
responsabile e la chiama a cooperare direttamente, rendendola collaboratrice in
ordine al portare frutti".
Vivere
la carità per un cristiano, dunque, non è qualcosa di saltuario o marginale o
facoltativo. Se mancasse, almeno come impegno e cammino, verrebbe meno il
carattere proprio di questa proposta di vita in pienezza.
In
Ef 4,15 la carità è indissolubilmente legata alla verità. Il detto aletheuontes
en agape è collocato nella seconda parte della lettera agli Efesini, nel
contesto di una pressante esortazione all’unità e al rispetto della
diversità. Sullo sfondo tre pericoli minacciano l’unità ecclesiale: la
discordia tra i cristiani, l’incapacità di riconoscere e valorizzare i
diversi carismi e ministeri; e infine una certa superficialità, una mancanza di
approfondimento della fede che apre il varco alle false dottrine, all’avanzata
dell’errore.
Scrive
E. Bosetti:
"La
lettera stigmatizza anzitutto la discordia tra i cristiani, generata da meschina
volontà di supremazia e da vicendevole intolleranza; esorta a vivere in maniera
degna della vocazione ricevuta, con atteggiamenti di umiltà e accoglienza,
"sopportandosi gli uni e gli altri nell’amore" (Ef.4,2). L’unità
va ricercata e coltivata come la cosa più importante dal momento che il Cristo
Gesù ha versato il suo sangue per abbattere ogni divisione e fare dei due un
solo uomo nuovo, facendo pace (cf. Ef 2,13-16).
D’altro
canto, l’unità espressa nell’acclamazione della fede battesimale ("un
solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e padre di
tutti": Ef 4,4-5) deve attuarsi nell’accoglienza serena e magnanime delle
diversità. Proprio come l’unità trinitaria che non sopprime la diversità
delle persone. A ciascuno, infatti, prosegue l’apostolo, è stata data la
grazia secondo la misura del dono di Cristo" (Ef 4,7). La diversità dei
ruoli e dei ministeri è voluta dal Lui al fine di "edificare" il suo
corpo, così che tutti giungano all’unità della fede".
Il
v. 14 tratteggia il risvolto negativo, lo stadio che va superato per raggiungere
l’età adulta. Le immagine che si susseguono, afferma Penna:
"richiamano
rispettivamente: l’instabilità del mare in tempesta (v.14b)…l’imprevedibilità
del gioco dei dadi (v.14c), nel senso che i bambini sono come dati alla mercé
degli uomini, privi di personalità propria; questa idea prosegue e si precisa
nel terzo complemento (v.14d), dove si accumulano tre vocaboli sinonimi, i quali
specificano il gioco non solo come imprevedibile ma anche come manipolabile con
la furberia e la frode".
Opponendosi
"tematicamente" al precedente, nel v.15 Paolo, riprende il concetto di
crescita. Sempre seguendo il commento del Penna, la modalità della crescita è
formulata dalla frase iniziale aletheuontes en agape. Essa si oppone al
versetto precedente in ambedue i suoi termini: tanto la verità quanto l’amore
stanno in antitesi con i concetti di furberia e di inganno, e nello stesso tempo
essi costituiscono due componenti fondamentali che fanno l’uomo e il cristiano
adulto.
La
"verità del Cristo" non può essere fatta in modo qualunque, bensì
en agape, nella carità. E’ come dire che per il cristiano afferma Penna:
"non è concepibile un rapporto con la verità (né come ricerca, né come
proclamazione, né come veridicità), se esso non è contrassegnato dall’amore".
L’amore
sa scusare e sopportare tutto, anche l’inganno; "perciò esso è segno di
uomo e di cristiano maturo": sia in quanto il culto della verità lo rende
sicuro contro qualunque vento di dottrina, sia in quanto la pratica dell’amore
lo rende infinitamente superiore alle meschine furberie degli uomini.
Questo
che valeva per i cristiani di Efeso è quanto mai attuale per la realtà
coniugale, tanto che ci sembra consequenziale la seguente domanda: cosa
significa e, conseguentemente cosa comporta per la vita coniugale l’intimo
legame della verità con la carità?
Vivere
la carità non è innanzitutto fissarsi un ideale e prefiggersi la perfezione. E’,
piuttosto, accettare di aprirsi a incontrare l’altro. E’ rendersi in qualche
modo vulnerabili, è cessare di difendersi, di guardarsi, di costruirsi, per
impegnarsi nel servizio, in un’avventura piene d’incognite, di
imprevedibilità, di vita di creatività.
1.
La carità come cammino e mistero
Il
libro dei Proverbi al capitolo 30, 18-19 afferma:
"Tre
cose ci sono che mi superano e una quarta che non comprendo;
il
cammino dell’aquila nell’aria,
il
cammino del serpente sulla pietra,
il
cammino della nave per il mare,
il
cammino dell’uomo nella fanciulla".
In
questo proverbio l’anonimo autore canta il suo stupore davanti all’incomprensibilità
dell’amore di un uomo e di una donna. L’autore dei versi non vuole dare
spiegazioni. E neppure si tortura per la sua ignoranza. Si meraviglia e canta l’inesplicabile:
il cammino dell’uomo nella fanciulla…
Commentando
questo proverbio Schokel dice:
"I
versi del proverbio parlano del cammino dell’amore. Ma il cammino si fa
camminando. E in realtà, l'aquila e il serpente e la nave si aprono un cammino,
ma senza lasciarlo fatto. Forse il cammino dell’amore va riaperto di nuovo
ogni volta; l’amore autentico non si rassegna alla routine di una strada già
battuta. Ogni coppia deve percorrerlo di nuovo e a suo modo, ogni tratto è
diverso dal precedente. Anche la rotta è sconosciuta: il cammino dell’amore
non può essere previsto e calcolato interamente in anticipo. Si tratta la rotta
camminando".
Il
cammino prima di tutto è necessario all’interno della coppia. La coppia si
costruisce, non è qualcosa di già dato. Due persone che si incontrano sono due
storie, due percorsi, due sistemi di vita e di pensiero , ma questo non fa di
loro ancora una coppia.
La
storia che si tenta di costruire è appena abbozzata, può divenire realtà
attraverso la costanza e l’impegno. Troppo spesso i manuali di teologia e gli
stessi documenti magisteriali, non riescono a comprendere questo. Se nei tempi
passati il matrimonio era visto in una condizione di inferiorità rispetto alla
verginità , strada più pura e perfetta, ora sembra che si abbia paura di
descriverlo nella sua fatica e nel suo travaglio, rinchiudendolo nella sfera
spirituale.
Non
si può pretendere un rapporto di coppia senza imperfezioni, senza
incomprensioni, senza amarezze e delusioni. C’è un modo infantile ma
efficacissimo di distruggere un matrimonio e una famiglia, così dice Muraro:
"Quello
di volerli perfetti e pretendere che siano la risposta da ogni desiderio. Oggi
le persone che pensano in questo modo stanno in aumento: non sopportano alcuna
delusione e sognano una vita di coppia perfetta, senza ombra né sbavature. Sono
come i bambini, che ritengono i genitori onnipotenti e restano delusi quando si
accorgono che sono
semplicemente
essere umani. Molte persone non crescono mai; si proiettano in un ambiente
irreale e vivono di sogni rifiutando la realtà. Immaginano la coppia perfetta,
dove tutto è bello e niente viene a turbare questa bellezza".
La
coppia non nasce fra due persone solo se stanno insieme, se condividono alcune
attività e hanno stipulato dei patti; per qualificare la coppia è necessario
un progetto, dibattuto e concordato attraverso un processo di maturazione da due
intenzioni che sono all’inizio solo in parte confluenti e per altra parte
divergenti.
Nella
stessa S. Scrittura non solo vi è descritto l’ideale cristiano del
matrimonio, ma anche la sua parabola storico-esistenziale faticosa e realistica.
Ci imbattiamo nella vita di coppia, nella sua realtà quotidiana alle prese con
l’azione corrosiva del peccato (Es 2 Sam. 11 Davide che uccide il marito
scomodo di Bestabea; 2 Sam 13 Ammon che oltraggia sua sorella Tamar; Pr 7,18-21
la donna che seduce il giovane ecc.).
Dalle
riflessioni precedenti si potrebbe erroneamente concludere che la relazione
coniugale è destinata inevitabilmente all’insuccesso e che pochi matrimoni
possono riuscire. Il nostro intento è quello di fa comprendere che è facile
contemplare i momenti belli di un matrimonio, o se vogliamo traslare il discorso
fermarsi ad adorare il volto bello del Gesù della trasfigurazione e magari
piantare le tende; ma diventa alquanto difficile fermarsi di fronte al volto
sfigurato della passione di Cristo, tirato per la grande sofferenza.
Afferma
Grelot:
"al
presente, gli uomini e le donne che si amano non devono sognare un Paradiso
terrestre per sempre inaccessibile. Vi è per forza nel loro amore qualcosa di
tragico, perché l’uno e l’altra sono peccatori. Essi devono in piena
coscienza, amarsi l’un l’altra così come sono; non amarsi nel peccato, ma
amarsi peccatori, in vista della loro redenzione. Indubbiamente lasciato a se
stesso, il loro povero amore umano subito rischierebbe di avvilirsi, insidiato
dalle tentazioni e incapaci di resistere. Ma dio vuole mettervi una efficacia
redentrice, per il fatto stesso che esso è il segno più manifesto del suo
amore redentore".
L’uomo
e la donna formano due "differenze convergenti". L’uomo e la donna
si pongono di fronte come aspetti complementari, come versioni
fisio-psico-spirituali della stessa unica, indivisibile realtà umana. Su questa
linea, prosegue R. Habachi:
"Lei
è la culla, lui movimento. Nel corso della storia, essa è lo stampo, la
riserva delle tradizioni, essa è il segno del tempo del riposo; lui indica la
marcia in avanti, il progresso. Ma questo movimento e questo progresso non
possono separarli l’uno dall’altra: egli esaurirebbe le sue energie senza
possibilità di recupero in famiglia, essa si chiuderebbe nell’esasperazione
se non fosse il rifugio di alcuna avventura. Le loro reciproche vocazioni,
quindi, acquistano un significato solo in questo dialogo nel quale ognuno trova
nell’altro l’occasione di diventare sempre più se stesso. Una cultura
esclusivamente virile si basa sull’aggressività e si esaurisce nella sfida,
mentre una cultura esclusivamente femminile si sfibra in civetterie e scade nell’inanità.
Questa è la ragion d’essere metafisica dei sessi. Ognuno dei due senza l’altro
sarebbe condannato alla morte: dal loro incontro nasce la vita".
Le
differenze, dunque, debbono restare. L’altro non può essere omologato,
appiattito ma rispettato nella sua novità, anche se tutto questo è difficile,
come è altrettanto difficile districarsi tra egoismo e altruismo. In alcune
coppie nasce l’aspirazione a trasformare ogni spazio privato in un solo spazio
comune. Questa è un’ipotesi deleteria. E’ importante che rimangano sempre
dei margini di diversità, di specifica identità, perché altrimenti quando si
è consumata la dose di diversità, capace di rinnovare lo spazio comune, non
resta più contesto di confronto e di rinnovamento progettuale.
L’unico
sentiero percorribile per non far languire l’amore è rinunciare a far
divenire l’altro oggetto manipolabile. L’altro non è un oggetto, che
perciò può essere esplorato come problema, è un soggetto unico che si deve
avvicinare come mistero. Il primo è il metodo della realtà quantizzabile. Il
secondo è quello della realtà irriducibile ai parametri di misurazione.
Come
sintetizza Palumberi "introdurrà al Sancta Santorum dell’altro…Il suo
io, dunque, non lo si forza, ma lo si invoca lungo i tornanti della umiltà e
della disponibilità nel proposito della fedeltà".
2.
La carità sa accogliere
Vivere
la carità significa accogliere e condividere; come Cristo che," per
capirci fino in fondo, si è fatto come noi, ci ha accettati come ci ha trovati,
condividendo la nostra esistenza".
Fra
due persone che si amano ognuno accoglie l’altro così com’è, accetta di
condividere tutta la vita con lui. Nel giorno del matrimonio si dice:
"Prendo te…". Non si dice." Prendo le cose belle della tua
persona e della tua vita". Commenta Muraro:
"Si
prende la persona com’è, con i suoi pregi, le sue qualità, la sua bellezza,
i suoi progetti, ma anche con i suoi limiti, le sue debolezze, le sue abitudini.
Si sposa la persona e non una qualità della persona. Dopo il matrimonio non ci
sono più l’io e il tu, non ci sono più il mio e il tuo. Si diventa un noi in
cui tutto viene condiviso. Non c’è più il tuo problema, la tua sofferenza, i
tuoi successi; ma il nostro problema, le nostre sofferenze, i nostri successi o
fallimenti, anche quando uno dei due prende una decisione, deve prenderla
sapendo che coinvolge anche l’altro"
L’impresa
più difficile, comunque, è impegnare la nostra vita per l’altro. E’ un
discorso difficile da accettare. In una società che tende a valutare
positivamente la "reversibilità delle scelte", cioè la libertà di
ritornare sui propri passi, quando una decisione si mostra troppo vincolante per
un soggetto, la "durata" diviene problematica.
A
volte nella realtà coniugale, inoltre, si è troppo affezionati al proprio modo
di pensare, ai propri gusti, alle proprie abitudini. Eppure l’esperienza
mostra che la coppia non nasce, finché tutte e due non accettano di morire a
qualcosa di sé. Sono efficaci in questo senso le parole semplici ed efficaci di
Gesù: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo"
(Gv 12,24).
Dice
M. Tedeschi. "Questo dono, tuttavia e miracolosamente, non annulla il
coniuge nell’altro, ma lo trasforma, lo fa crescere, lo completa e lo
valorizza".
C’è
un’immensa paura a cedere: "perché debbo cedere sempre io",
"devo fare sempre quello che piace a lui/lei". Sono frasi che si
ripetono continuamente nei litigi fra due coniugi. Nessuno dei due è pronto ad
ammettere un proprio sbaglio, nessuno dei due è disposto a riaprire il dialogo.
Sono tutte e due presi dai loro ragionamenti, dal loro io, dalle proprie
ragioni. Non hanno nemmeno la forza di guardarsi negli occhi e nello stesso
momento rinunciano all’alleanza stipulata per ritrovarsi nemici.
Nella
parabola del Figlio prodigo il Padre anticipa il Figlio. Se lo ha visto
è perché stava in attesa. Senza un minimo rimprovero o vendetta per il
passato, i gesti del Padre sono solo tenerezza viscerale; l’abbraccio e i baci
continui sono segni di perdono e riconciliazione, nonché del fatto che il Padre
tratta il figlio da eguale, non da schiavo o inferiore.
Nel
commento a questo brano li biblista A. Nepi afferma:
"Notiamo
che il Padre non permette al figlio di terminare il suo discorso elaborato da
"schiavo". Al di là di ogni "giustizia retributiva, Il Padre
reintegra chi non ha diritti o meriti ("non sono degno") nella
famiglia, donandogli una dignità superiore a quella di prima (vestito, anello e
calzari sono segni di identità e dei diritti che una persona ha, cfr. Est
6,6-11) e fa imbandire un vitello grasso, qual era l’uso del tempo di
festeggiare le grandi occasioni o ricorrenze (normalmente religiose). Il perdono
è un dono maggiore…".
Questo
passaggio per quanto difficile è importante all’interno della coppia.
"Cedere"
non è l’atteggiamento passivo di chi è vinto e deve rinunciare a se stesso,
ai suoi gusti, alle sue aspirazioni per adattarsi alle richieste dell’altro.
Diviene, invece, l’atteggiamento attivo di chi è consapevole che, per
armonizzare, è indispensabile saper accogliere le giuste richieste dell’altro,
ed è pronto a discuterne per raggiungere una soluzione comune.
Se
non avviene questo si creano nella coppia quelle "microfratture" che
portano l’amore a languire e piano, piano a morire. Il perdono non banalizza l’amore,
ma lo rinnova purificando dentro di noi la tendenza a buttare solo sul coniuge
la responsabilità del litigio. Il perdono non è debolezza dell’indulgenza,
ma la forza che rompe il cerchio dell’aggressività.
Le
"crisi", dunque, non hanno solo il marchio della negatività, la crisi
rinvigorisce, aiuta a crescere, in special modo quando si è disposti a
ricominciare, a ri-dialogare, senza la presunzione di avere sempre ragione. Solo
in questo contesto di "rinascita", il perdono diviene la possibilità
tipicamente umana" per permettere alle crisi, ai conflitti e ai fallimenti
di sprigionare la loro forza positiva di crescita.
In
questo percorso ha validità l’affermazione seguente del Catechismo
olandese:
"In
una stanza l’immagine del Crocifisso è più di un ornamento. Vuol dire, in
fondo, che niente è senza speranza purché ci siamo provati ad mare. Significa
inoltre che l’assoluta indissolubilità del matrimonio, anche quando, in casi
umanamente disperati, sembra priva di significato, mantiene tuttavia il suo
senso profondo di partecipazione all’amore di Cristo fino alla crocifissione.
Come il Cristo non ha abbandonato l’umanità né la Chiesa quando lo
inchiodavano sulla croce, così ogni matrimonio contratto nel Signore conserva l’indissolubilità
del legame fra Cristo e la Chiesa, anche quando è divenuto una crocifissione.
La presenza di Gesù nel matrimonio fra credenti non esclude, dunque, a priori,
incompatibilità di carattere, errori nella scelta matrimoniale, difficoltà con
i figli, nervosismi, malattia, noia e neppure una separazione necessaria e
permanente, ma significa che, per i credenti, il Terzo, cioè il Cristo, è
sempre presente; Cristo che dà forza, conforto, speranza, mentre fa osservare
come sia sempre meglio dare che ricevere. Chi si impegna di questo spirito nei
giorni felici, potrà continuare a vivere di questa speranza nelle ore
difficili".
3.
La carità come Emet
Nello
studio del concetto di Alleanza all’interno del discorso biblico, mi ha fatto
sempre riflettere la parola emet. Scrive Finkenzeller:
"Emet
significa la robustezza di un oggetto, sul quale dunque ci si può appoggiare:
pensiamo al fondamento o ai pilastri su cui poggia un edificio. Emet inoltre
significa l’aiuto che un bambino trova fra le braccia della madre, o, in senso
morale, la fedeltà su cui possiamo contare: quando si dice che Dio è fedele,
si intende affermare che si può contare pienamente su di lui".
Nella
vita di coppia a volte capita che la fatica si fa sentire. Uno dei due coniugi
può risentire questa situazione più dell’altro. Vivere la carità, dunque,
è saper essere la "roccia" su cui l’altro si può appoggiare. La
certezza che l’altro è presente, che il cammino può riprendere e che il
percorso può rendersi di nuovo percorribile.
Vi
sono nella bibbia delle immagini che possono dare la giusta luce a quanto
affermato.
Deuteronomio
32,11-12, riferendosi a Giacobbe, simbolo del popolo di Jhawé, dice "Come
un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i suoi nati, egli spiegò
le ali e lo prese, lo sollevò sulle sue ali. Il Signore lo guidò da solo…".
Similmente, Esodo 19,4 riprende Dio mentre dice ai figli d’Israele: "Vi
ho sollevato su ali di aquile e vi ho fatto venire sino a me". E in Giobbe
39,27-30 Jahwé chiede a Giobbe dal cuore del turbine: "al tuo comando l’aquila
s’innalza e pone il suo nido sulle alture?".
Commenta
Mollenkott:
"Deuteronomio
32 e Giobbe 39 sembrano ritrarre l’aquila mentre insegna agli aquilotti a
volare e a procacciarsi il cibo. Mi è stato detto che l’aquila porta i
piccoli sulle sue ali, per poi improvvisamente gettarsi in picchiata e
costringerli a volare da soli, quindi rimane vicina, pronta a correre in loro
aiuto non appena sono troppo affaticati per continuare con le proprie forze. Che
ritratto di un Dio amorevole, che si prende cura della nostra nutrizione quando
siamo troppo deboli, eppure ha sempre di mira lo scopo della nostra maturità e
forza interiore, piuttosto che una morbosa dipendenza da una forza a noi
esterna!".
Queste
immagini, a mio parere, rendono in maniera perfetta la realtà coniugale. Nell’essere
emet concorrono insieme tutte queste realtà. L’altro che soffre, che
è scoraggiato viene accolto sotto l’ala protettrice di chi deve in quel
momento rendersi sostegno. La delicatezza, il saper accompagnare , il camminare
a fianco, far sentire la propria presenza senza tante parole o discorsi.
Partecipare del dolore dell’altro è alquanto necessario.
Dall’altra
parte c’è la robustezza. Il coniuge che soffre si deve sentire supportato,
incoraggiato, affiancato e magari sollevato. Rialzarsi non è cosa facile,
quando il dolore penetra dentro, quando le giunture non sono capaci di
sorreggere. In questo momento è necessario sentire la presenza che sa
sorreggere, che dà la forza per ricominciare.
Tutto
questo, infine, alimenta la speranza, aumenta il coraggio, fa rinascere la
voglia di ricominciare.
Liberare
la tenerezza in questo momento diventa
necessario. La tenerezza come afferma S. Palumbieri "è la capacità di
farsi casa per l’altro". Sguardi, sorrisi, carezze, parole, premure
divengono indispensabili nella realtà concreta di ogni giorno, sono la
"presenza" dell’amore e della carità.
La
fedeltà, dunque, è misurata dalla quotidianità. Non dobbiamo pensare solo
alle situazioni macroscopiche, ma a quei tanti momenti, a quegli istanti che
fanno vivere una relazione. La fedeltà è prima di tutto verso la persona, non
verso il momento più o meno distante del giorno del matrimonio. La fedeltà è
dinamica come la crescita della persona. Non è qualcosa di statico di
"imbalsamato" in un istante o in un momento ma continuamente
rinnovabile.
Nel
libro Il sacramento antico Campanini scrive:
"…una
fedeltà, dunque, che non conosce la passività e la ripetitività, la pigrizia
e l’acquiescenza; una fedeltà che si apre costantemente alla speranza, anche
se apparentemente l’altro delude e sembra che le attese dell’amore siano
destinate a essere promesse non mantenute. La fedeltà spera e sa ciò che oggi
sembra umanamente impossibile domani potrà diventare realtà.
In
questo senso la fedeltà è contemporaneamente stabilità e rottura, sicurezza e
rischio, ancoramento nel passato e apertura al futuro. E’ stabilità nella
reciprocità degli affetti ma anche consapevolezza che occorre non fare del
rapporto di coppia un guscio chiuso, appiattendolo nella privatezza".
La
fedeltà è speranza, non si chiude in un ambito ristretto, si apre verso una
durata senza scadenze.
E’
la sicurezza che nulla va perduto, di ogni energia messa in atto, per vivere la
realtà del matrimonio e della famiglia come una comunione da custodire a da
alimentare.
4.
La carità come fermento
In
questa ultima caratteristica della carità coniugale ho preferito usare il
termine fermento invece di fecondità. Quando si parla di fecondità della
coppia c’è il pericolo di restringere il significato di questa espressione
alla sola procreazione. Il termine fermento ha una connotazione più dinamica e
capace di cogliere meglio il rapporto con la realtà esterna.
Con
questo voglio dire che una coppia che sa essere fermento al suo interno, capace
di camminare e di accogliersi in modo vicendevole può essere lievito anche per
gli altri. La coppia può essere sterile non soltanto perché non ha figli ma
anche perché l’io non genera più vita nel tu e perché
entrambi non irradiano vita nella comunità.
Lo
spessore di una coppia, in quanto testimone, consiste non tanto nell’essere
modello di perfezione (es. il dialogo è sempre possibile, non esiste nessun
attrito, al mattino si svegliano con un bel sorriso stampato sulla bocca ecc.);
bensì nella trasparenza verso l’esterno della fatica di essere coppia.
Non
si può pretendere un rapporto di coppia senza imperfezioni, senza
incomprensioni, senza amarezze e delusioni. Scrive Muraro:
"Alla
base di un matrimonio a dimensione umana non può esserci quell’amore sognante
che distacca le persone da terra e le colloca su una nuvoletta, ma è necessario
quell’amore che sa capire e sa perdonare. E se a entrambi si chiede lo sforzo
di dare tutto quello che possono dare, si chiede pure quella maturità che sa
accettare anche i limiti propri e dell’altro. La coppia non è riuscita quando
sono assenti i contrasti e incomprensioni, ma quando nelle differenze che creano
tensioni e dissapori ognuno dei due si impegna a risolverli con amore".
Una
coppia socialmente sterile è quella che si chiude nel privato. E’ la coppia
che si chiude nella sua piccola fortezza e si contrappone alla società.
Paradossalmente diventa socialmente sterile anche quella coppia che si disperde
nel sociale e si impegna in mille attività, fino al punto da non avere più
tempo per se stessa. E’ irragionevole, afferma Muraro, "quel tipo di
impegno sociale o ecclesiale che mette in crisi o indebolisce la comunione di
coppia e la vita di famiglia".
Essere
con gli altri e per gli altri è il segno distintivo di un amore che rifiuta di
lasciarsi rinchiudere nella sua privatezza e ha imparato a guardare lontano. Da
una parte tutto questo significa apprendere giorno per giorno a diventare sempre
più compiutamente se stessi, anche come coppia; e imparare a giocare la propria
esistenza personale e coniugale per gli altri.
Essere
cristiani inoltre, significa, scrive Campanini:
"saper
farsi prossimo, senza attendere che siano gli altri a diventare prossimo per
noi. E’ un criterio direttivo che attraversa anche la coppia cristiana e la
sollecitudine a esprimere tutta la sua capacità di accoglienza, mediante la
riacquisizione di quella virtù dell’ospitalità che nella vita coniugale
assume la forma peculiare dell’accoglienza della vita, in particolare di
quella nascente e di quella terminale, e cioè delle due espressioni della vita
che maggiormente rischiano di essere rifiutate da una società nella quale vi è
posto per la forza dei giovani, degli adulti, dei sani, ma non è per la vita
nascente e della vita terminale".
CONCLUSIONI
La
carità si attua autenticamente solo in una dimensione di globalità, che
occorre intendere in duplice senso. In primo luogo, perché la carità,
coinvolgendo l’unità integrale della persona nel suo donarsi, mostra di avere
la propria radice nell’indivisibile e globale unità psico-fisica dell’uomo.
In
secondo luogo, perché la persona amata viene voluta nella sua integrità ed
unità. Infatti, il far dono di sé ad altri suppone che si veda nell’altro
molto più di un corpo da possedere e che lo si colga come unità che può, a
sua volta, accogliere questo dono e, di là, restituirlo.
Nella
dimensione di globalità di carità è, poi, implicata l’esigenza di una
scelta di donazione totale e, perciò, definitiva e irrevocabile delle persone.
I coniugi si debbono offrire reciprocamente tutto lo spazio e il tempo di cui
dispongono.
Dunque,
amare nel senso della carità significa essere come dono, cioè mantenere un’apertura
che non può chiudersi nell’altro. In questa prospettiva si può cogliere la
naturale vocazione dell’amore alla fecondità e alla creatività: l’amore
non è tale se non è diffusivo e creativo, pro-creativo.
Fecondità
significa non poter esser paghi dell’unione a due, ma desiderare di dilatare
la comunione oltre sé.
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